“Tutto è connesso”

L'intervista a don Bruno Bignami

A margine del primo incontro della scuola diocesana di formazione all’impegno sociale e politico, la nostra redazione ha intervistato il relatore, don Bruno Bignami.
L’intervista, che riportiamo di seguito, è stata precedentemente pubblicata nel numero datato Domenica 3 marzo dell’inserto diocesano La Traccia sul settimanale TOSCANA OGGI.

Laudato Sì e salvaguardia del Creato: come si declina questo tema in tempi difficili caratterizzati da continue guerre e la difficoltà a trovare delle soluzioni politiche veramente efficaci contro il riscaldamento globale?
L’enciclica Laudato si’ ha affrontato il tema della cura del creato in modo molto articolato. È il primo intervento importante del magistero sociale della Chiesa sulle questioni ambientali. Il cammino dell’umanità non è mai lineare, procede a «stop and go», ma senza orientamenti di direzione il rischio di perdersi è molto alto. LS è una bussola e come tale bisogna avere il coraggio di comprenderla e farla diventare un riferimento. Le contraddizioni dell’epoca in cui viviamo sono davvero scandalose e vanno prese sul serio. Le guerre violentano, uccidono e massacrano i civili, ma vanno oltre. Sono uno stupro all’ambiente, che invece ha bisogno di cura. I bombardamenti continui inquinano i terreni per centinaia di anni: chi potrà mettere mano a una completa bonifica? Quanto tempo richiederà? Le abitazioni distrutte e da ricostruire hanno il loro impatto energetico e climatico. Insomma, ogni conflitto sembra far tornare indietro l’orologio della storia. Francesco indica una strada: l’ecologia integrale. Se vogliamo risolvere i problemi sociali dobbiamo affrontare anche quelli ambientali e viceversa. Abbiamo bisogno di un surplus di cura nei rapporti sociali e nell’intervento sulla natura. Tutto è connesso. Fingere che non sia così non è solo ingenuità: è ormai incoscienza verso le future generazioni.

Don Bruno Bignami è direttore CEI per l’ufficio dei Problemi Sociali e del Lavoro e per l’Apostolato del mare

Dalla Laudato si’ alla Laudate Deum: qual è il principale messaggio che papa Francesco continua a diffondere?
L’enciclica Laudato si’ è stata pubblicata nel 2015 e ha ricevuto molti consensi, spingendo persino verso l’accordo alla COP21 di Parigi. Tuttavia, la reazione internazionale è stata troppo timida: molti non si rendono conto dell’urgenza della questione climatica e più in generale della questione ecologica. Ecco le ragioni che hanno spinto Francesco a pubblicare nel 2023 la Laudate Deum (LD). È un’esortazione apostolica che intende richiamare tutti alla responsabilità. Non c’è tempo da perdere. Come lamenta al n.2: «Mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie». La preoccupazione per il pianeta è innanzi tutto preoccupazione per la vita concreta delle persone e delle famiglie. Una prospettiva molto diversa rispetto a quella di chi parte dall’economia e intende salvaguardare i guadagni dei potenti.

«Siamo appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici» scrive il papa nell’esortazione. Quali sono i comportamenti positivi che anche dal basso possiamo adottare anche noi nella nostra vita quotidiana e nella nostra comunità?
Il punto vero è che dobbiamo lavorare su più livelli. Il primo è culturale. Come suggerisce la LD: «Non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del modo di vivere e delle convinzioni sociali, e non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone». Serve una cultura dell’ecologia integrale, capace di lavorare sulla qualità delle relazioni sociali e ambientali. La conversione nasce dal cuore dell’uomo. Il secondo livello riguarda gli stili di vita. La responsabilità di ciascuno coinvolge molti fronti concreti: la mobilità, gli investimenti finanziari, che non devono alimentare canali di guerra e di dipendenza dai combustibili fossili, la spesa ordinaria delle famiglie a tutela del lavoro e delle aziende sostenibili, il modo di organizzare le vacanze, la scelta del cibo e la valorizzazione di un modello dell’agricoltura a vantaggio della biodiversità, la raccolta differenziata dei rifiuti, l’adesione a una comunità energetica rinnovabile (CER)… Molti sono i modi con cui ciascuno può contribuire a migliorare la situazione. Senza mai dimenticare che qualsiasi opzione concreta non avrà esiti positivi senza un cambio culturale. La tentazione del greenwashing è sempre dietro l’angolo.

L’incontro si è svolto venerdì 23 febbraio presso la curia vescovile di Piombino

La Conferenza Episcopale italiana ha istituito un tavolo per supportare le diocesi, le parrocchie e le persone stesse nella costituzione di comunità energetiche. A che punto siamo?
Siamo in dirittura d’arrivo. La promulgazione dei decreti attuativi da parte del governo ha finalmente aperto la strada al lavoro dei territori. Tra qualche settimana sarà disponibile un Vademecum per le parrocchie e le diocesi che intendono percorrere questa strada ecologica. Alcune realtà si sono già mosse: diocesi che intendono costituirsi «comunità energetica», parrocchie che la stanno progettando con l’amministrazione comunale e altri enti del terzo settore, famiglie che si organizzano. C’è una ricchezza di esperienze che sta crescendo e fa ben sperare.

Da Taranto a Trieste: la chiesa italiana si prepara alla 50a Settimana Sociale dei cattolici sul tema della democrazia. La democrazia è legata al concetto di ecologia integrale? Se sì, come?
Assolutamente sì. Una delle declinazioni della democrazia è la partecipazione dal basso. L’ecologia integrale si caratterizza proprio per questo: tiene in connessione temi sociali e temi ambientali. Lo vediamo anche in tante proteste contemporanee: gruppi di persone che lamentano una transizione ecologica troppo costosa. Se non si parte dalla vita delle persone e non la si rende conveniente dal punto di vista umano, sociale, economico, sanitario, lavorativo… la transizione diventa per i pochi privilegiati che possono permetterselo. Invece, la responsabilità di tutti permette di valorizzare il bene che ciascuno può fare. Democrazia non è concetto esclusivamente politico, ma anche sociale, ecologico ed economico. La vera sfida che ci attende è abitare questa complessità senza scadere nelle semplificazioni ideologiche. Dici poco?

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Continuamente si innalza il grido «Mai più morti sul lavoro», ma i numeri – come raccontato nella recente intervista alla trasmissione di TV2000 Di buon Mattino – sono stabili da anni: l’Osservatorio di Bologna parla, in media, di tre morti al giorno sul posto di lavoro, 1.467 persone nel 2023. Perché nel ventunesimo secolo, epoca del progresso tecnologico, si continua a morire sul posto di lavoro?
Sono dati che rimangono stabili da troppo tempo, persino durante la pandemia. C’è qualcosa che non funziona, in particolare non c’è una profonda attenzione alla qualità del lavoro. Le leggi non bastano: vanno applicate e, soprattutto, dobbiamo preoccuparci di formare coscienze riguardo la sicurezza. A volte anche una piccola superficialità è fatale… La cultura di chi pensa che investire in sicurezza sia un costo è completamente sbagliata. Le persone solo la prima ricchezza di un’impresa, sono il capitale più prezioso!
Sono tre le principali ragioni che favoriscono gli incidenti sul lavoro: la prima riguarda la cultura dell’impresa. La sicurezza è un investimento sul futuro, non un costo. Le persone vengono prima del profitto. La seconda questione riguarda la leggerezza con cui gli stessi lavoratori a volte non rispettano le normative e gli adempimenti richiesti. L’abitudine o la sicurezza di sé possono giocare brutti scherzi. La terza questione, come purtroppo anche i recenti fatti di Firenze hanno evidenziato, è legata al sistema degli appalti e dei subappalti: per risparmiare denaro, i lavori vengono affidati a ditte esterne che non rispettano le normative basilari e questo porta su un crinale che diventa pericolo – e spesso – tragedia per la vita delle persone. Tra l’altro, questo sistema crea una zona grigia di rimpallo di colpe che finisce per fare del lavoratore, ultimo anello della catena, la vittima sacrificale del gioco perverso delle irresponsabilità condivise a più livelli.
È necessario quindi mettere mano al dato culturale e a quello legislativo: sono certamente indispensabili le leggi, ma, contemporaneamente, è fondamentale formare le coscienze delle persone perché siano consapevoli di quanto la sicurezza sia importante, non solo per sé stessi, ma anche per gli altri.