Intervento del nostro Vescovo Carlo al Corso liturgico – musicale

Il Canto e la Musica sacra nella Celebrazione Eucaristica

Carissimi, a tutti il mio grato e fraterno benvenuto.
Un saluto cordialissimo ai nostri due relatori, ai professori Martino Durighello e Pierangelo Ruaro, e a quanti hanno lavorato e stanno lavorando per la buona riuscita di questa DUE GIORNI.
C’è offerta una non trascurabile opportunità per fermarci e riflettere sulla formidabile e profonda forza creatrice dell’azione liturgica, che nella potenza dello Spirito Santo è capace di attrarre ogni uomo e, in qualche modo, l’intera creazione.
Come Cristo fu inviato dal Padre, così Egli ha inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo, non solo a predicare il Vangelo a tutti gli uomini, annunciando che il Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal potere di Satana e dalla morte e ci ha trasferiti nel regno del Padre, bensì ad attuare l’opera di salvezza che annunziavano mediante il sacrificio e i sacramenti attorno ai quali gravita tutta la vita liturgica. Gli uomini, infatti, mediante il battesimo, sono inseriti nel mistero pasquale di Cristo: con lui morti, sepolti e risuscitati, ricevono lo Spirito dei figli adottivi, «che ci fa esclamare: Abbà, Padre» (Rm 8,15), e diventano quei veri adoratori che il Padre ricerca. Allo stesso modo, ogni volta che essi mangiano la cena del Signore, ne proclamano la morte fino a quando Egli verrà (Cfr. SacrosanctumConcilium, n. 6).
Già i Padri hanno visto nel gesto della guarigione del cieco nato – “Gesù sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva” (Gv 9, 6-7) – un riandare al gesto del plasmare l’uomo alle origini della creazione.
È la creazione nuova che si realizza attraverso la celebrazione dei santi misteri dell’Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione di N.S. Gesù Cristo come ci ricordano due formulari liturgici della solennità del Natale e della Pasqua. Si pensi a due orazioni, la colletta del giorno del Santo Natale:
O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti,
fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana. E l’orazione che leggiamo dopo la prima lettura della Veglia pasquale: Dio onnipotente ed eterno, ammirabile in tutte le opere del tuo amore, illumina i figli da te redenti
perché comprendano che, se fu grande all’inizio la creazione del mondo,
ben più grande, nella pienezza dei tempi,
fu l’opera della nostra redenzione,
nel sacrificio pasquale di Cristo Signore. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. La Creazione nuova, inaugurata nel sacrificio pasquale di Cristo Signore che ci ha rinnovati e redenti, dunque, supera in modo più mirabile la prima creazione con la quale ci ha creati a sua immagine.
Il mistero della vita del Cristo si attualizza nella vita della Chiesa con l’azione dello Spirito, ed è la Liturgia il canale principale e sempre aperto in cui scorre l’acqua pura che promana dal mistero pasquale di Cristo. La Liturgia custodisce e apre la porta della Grazia, e va dunque a sua volta custodita e coltivata nella sua verità e nella sua autentica finalità. Il Cristo è veramente “Figlio e Mano di Dio” che opera questa nuova creazione. Ireneo di Lione scrive al proposito: «Non cerchiamo più altra Mano per mezzo della quale fu plasmato l’uomo, né un altro Padre, sapendo che la Mano di Dio che ci ha plasmati all’inizio e ci plasma nel seno materno, negli ultimi tempi è venuto a cercare noi che eravamo perduti, ha recuperato la sua pecora perduta, l’ha presa sulle spalle e con gioia l’ha restituita al gregge della vita […] Lo stesso Verbo riplasmò la vista al cieco dalla nascita, mostrando apertamente colui che ci ha plasmati nel segreto, poiché il Verbo stesso era divenuto manifesto agli uomini» (Contro le eresie, 5,15,2). Cristo, infatti, si rivela come il vero protagonista di ogni celebrazione, che «associa a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale lo invoca come suo Signore e per mezzo di Lui rende culto all’Eterno Padre» (SC, 7). Sappiamo bene che la Sacrosanctum Concilum, approvata il 4 dicembre 1963 con il rango di Costituzione, fu il primo frutto della grande assise conciliare. È stata questa una causalità? Oppure la ragione la troviamo nel fatto che il testo sulla SACRA LITURGIA sembrava il meno controverso e quindi il più adatto a costituire una base di partenza per il Concilio? Crediamo che fu provvidenziale porre all’inizio di ogni altra cosa la Liturgia. Questo fatto collocava Dio al primo posto e poneva senza equivoci il primato di Dio nella vita della Chiesa: prima di tutto Dio. Quando lo sguardo a Dio non è al primo posto, tutto il resto perde il proprio orientamento: «La sentenza della Regola benedettina: “Nulla deve anteporsi al culto divino” (RegulaBenedicti, 43,3), vale in modo speciale per il monachesimo, ma ha anche importanza rispetto all’ordine delle priorità per la vita stessa della Chiesa e per quella di ciascuno in particolare secondo il proprio stato» (Benedetto XVI).
Nel discorso di chiusura della XX sessione, nel promulgare la Costituzione, il Papa Paolo VI si riferiva in questi termini al lavoro concluso: «Uno dei temi, il primo esaminato ed il primo, in un certo senso, nell’eccellenza intrinseca e nell’importanza per la vita della Chiesa, quello sulla Sacra Liturgia, è stato felicemente concluso ed oggi da noi solennemente promulgato. Esulta l’animo nostro per questo risultato. Noi vi ravvisiamo l’ossequio alla scala dei valori e dei doveri: Dio al primo posto; la preghiera prima nostra obbligazione; la liturgia prima fonte della vita divina a noi comunicata, prima scuola della nostra vita spirituale, primo dono che noi possiamo fare al popolo di Dio». Come potremmo offrire il nostro culto spirituale se non attingessimo luce e forza, dunque grazia, dal Cristo vivo e presente realmente in mezzo a noi nell’azione liturgica?
Scriveva papa Francesco: «Celebrare il vero culto spirituale vuol dire offrire se stessi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (cfr. Rm 12,1). Una liturgia che fosse staccata dal culto spirituale rischierebbe di svuotarsi, di decadere dall’originalità cristiana in un senso sacrale generico, quasi magico, e in un vuoto estetismo. Essendo azione di Cristo, la liturgia spinge dal suo interno a rivestirsi di sentimenti di Cristo, e in questo dinamismo la realtà tutta viene trasfigurata». E concludeva richiamando quanto – durante la Lectio Divina al Seminario Romano, il 15 febbraio 2012 – papa Benedetto XVI ebbe a dire: «Il nostro vivere quotidiano nel nostro corpo, nelle piccole cose, dovrebbe essere ispirato, profuso, immerso nella realtà divina, dovrebbe diventare azione insieme con Dio. Questo non vuol dire che sempre dobbiamo pensare a Dio, ma che dobbiamo essere realmente penetrati dalla realtà di Dio, così che tutta la nostra vita […] sia liturgia, sia adorazione» ( Messaggio ai partecipanti al simposio “SacrosanctumConcilium”, 18-20 febbraio 2014).
Tanti sono i termini che hanno definito la liturgia: actio, agere, facere […] opus Dei, e sappiamo che «ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (SC n. 8).  È il Cristo presente e operante. Nei sacramenti il Signore glorificato continua ad abitare con noi, con la sua grazia, la sua misericordia, il suo perdono, la sua vita nuova.  Come insegna S. Agostino: «È Cristo che battezza, consacra, perdona i nostri peccati». Nei Sacramenti noi incontriamo il Cristo, glorificato, risorto, vivo, vero, reale: in un incontro personale. S. Leone Magno diceva: «Ciò che era visibile nel Cristo continua ad essere presente nei sacramenti» (Sermo 74, 2). Essendo presente Lui rende presente in essi la sua opera redentrice, soprattutto la sua morte e risurrezione.
«In tal modo diventa chiaro», scrive Teodoro di Mopsuestia, «sia partecipare a questa liturgia sia ricevere l’oblazione significa commemorare La morte di Cristo e la sua risurrezione, alla quale tutti attendiamo di essere associati; e in tal modo in questo mistero noi compiamo sotto forma di segno ciò che è accaduto a Cristo nostro Signore, affinché per mezzo di questi segni, l’essere associati a lui renda salda la nostra speranza» (Omelie catechetiche 11,7). «Allora dobbiamo dare alla liturgia tutto lo spazio e il tempo di cui ha bisogno. Non ci sia in essa nulla di sacrificato o di troppo pesante o opprimente, né i suoni, né la luce, né i protagonisti. Lasciamo alla Parola, alla preghiera, alle melodie, ai raggi di luce, all’incenso il tempo e lo spazio per arrivare a un’abside e ritornare a un nartèce, il tempo e lo spazio per toccare Dio e toccare l’uomo, il tempo e lo spazio per andare e tornare. Tutta la liturgia sta in questo va e vieni, in questo spazio aerato, questo respiro, questo interstizio dove si intrufolano gli angeli. Lasciamo agli angeli il tempo e lo spazio: essi concelebrano con noi, come ci assicura tutta la tradizione liturgica» (F. CASSINGENA-TRÉVEDY – La Bellezza della Liturgia, Bose, 2003, p. 115).
Il nostro San Cerbone, come ci ha tramandato una tradizione antica, aveva sperimentato, vissuto questa presenza di cori angelici che accompagnavano la celebrazione eucaristica.
È il desiderio struggente del popolo cristiano di unirsi all’assemblea celeste nel ringraziamento e nella lode che si fa supplica al Padre immediatamente prima della Preghiera eucaristica: «Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria,
le Dominazioni ti adorano,
le Potenze ti venerano con tremore.
A te inneggiano i Cieli,
gli Spiriti celesti e i Serafini
uniti in eterna esultanza.
Al loro canto concedi, o Signore,
che si uniscano le nostre umili voci
nell’inno di lode».
Questo unirsi al canto degli spiriti beati ci dice di una misteriosa e profonda parentela tra musica e speranza, tra canto e vita eterna: «non per nulla» – come ebbe a dire papa Benedetto in occasione del Concerto offerto dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano nel terzo anniversario del suo pontificato – «la tradizione cristiana raffigura gli spiriti beati nell’atto di cantare in coro, rapiti ed estasiati dalla bellezza di Dio. Ma l’autentica arte, come la preghiera, non ci estranea dalla realtà di ogni giorno, bensì ad essa ci rimanda per “irrigarla” e farla germogliare, perché rechi frutti di bene e di pace».
«Fin dall’inizio liturgia e musica sono state strettamente connesse l’una all’altra. Quando l’uomo loda Dio, la semplice parola non basta. Parlare con Dio supera i confini del linguaggio umano. Perciò in ogni luogo, per sua natura esso ha chiesto aiuto alla musica, al canto e alle voci della creazione che risuonano negli strumenti. Perché alla lode divina non partecipa solo l’uomo. La sacra funzione è un unirsi al coro da cui tutte le cose parlano».  (J. RATZINGER, Lodate Dio con Arte, Venezia, 2011, p.91)
Liturgia e musica sacra, pur connesse, devono sempre essere armonizzate, specialmente nei momenti delle svolte storiche e culturali. È della tradizione cristiana quell’adagio che riassume bene l’Ordo Amoris: «In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas» e che vogliamo fare nostro in questi giorni predisponendoci all’ascolto e alla riflessione, aiutati dai nostri relatori e nel confronto delle nostre esperienze e conoscenze. Il Concilio Vaticano II ci dice che «la tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio d’inestimabile valore, che eccelle tra le altre espressioni dell’arte, specialmente per il fatto che il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrante della liturgia solenne. Il canto sacro è stato lodato sia dalla Sacra Scrittura (Ef, 5 – Col 3), sia dai Padri, sia dai Romani Pontefici; costoro recentemente, a cominciare da S. Pio X, hanno sottolineato con insistenza il compito ministeriale della musica sacra nel culto divino. Perciò la musica sacra sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica, sia dando alla preghiera un’espressione più soave e favorendo l’unanimità, sia arricchendo di maggior solennità i riti sacri. La Chiesa poi approva e ammette nel culto divino tutte le forme della vera arte, purché dotate delle qualità necessarie». […] E riafferma che «il fine della musica sacra, […] è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli» ( SacrosanctumConcilium, cap. VI).
Ma di questo ci diranno i due relatori e direte voi tutti presenti, portando la vostra esperienza, manifestando i vostri dubbi e perplessità in un ascolto attento e in un confronto fraterno in questi due giorni. A tutti il mio grazie e l’augurio di un buon lavoro. Che il Signore ci faccia partecipi di quella esperienza di cielo che ebbe a vivere il santo Vescovo di Ippona Agostino: «Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua Chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene» (Le Confessioni, Libro IX, 6, 14). + Carlo, vescovo