Santo Natale

Il messaggio del nostro Vescovo Carlo

Carissimi fratelli e sorelle,
il nostro tempo sembra non darci più la percezione di quanto sta accadendo dentro di noi e intorno a noi, un groviglio di sentimenti, di sensazioni e di esperienze che si affrontano senza confrontarsi, ognuno cerca la ragione delle proprie scelte, si fa per dire, dopo averle fatte e, senza pensarci due volte, le difende come fatte bene e fatte giuste.

Su questi fondamenti poi si ha la pretesa di costruire fraternità, solidarietà e accoglienza dell’altro con programmi che sono frutto di fantasie lontane da ogni realtà e da ogni concretezza che si rispetti.

Il momento educativo è un ricorrersi di proposte che spesso implodono senza che si offra un percorso con tappe e mete ben stabilite. Si avverte un’estemporaneità che preoccupa non poco, poiché si sperimenta una mancanza del tempo necessario a mettere radici, a saggiare la bontà di un programma e perciò del raggiungimento della meta.
Il nostro tempo è definito età della tecnica. E sappiamo che questo non ci aiuta a raggiungere uno scopo, un fine, un orizzonte di senso. L’ etica, come forma dell’agire in vista di fini, è stata emarginata e ignorata con un’ignoranza più o
meno dotta, più o meno interessata, fino a situazioni di una spregiudicatezza diabolica. Il mondo è ora regolato dal fare come pura produzione di risultati.
«L’unica etica possibile», ci ha detto Umberto Galimberti, «è quella del viandante. A differenza del viaggiatore, il viandante non ha meta. Il suo percorso nomade, tutt’altro che un’anarchica erranza, si fa carico dell’assenza di uno scopo. Il viandante spinge avanti i suoi passi, ma non più con l’intenzione di trovare».

Le luci e il frastuono del mondo disorientano l’uomo e lo costringono ad una sorta di intruppamento dove si smarrisce, perde se stesso, la sua autonomia e la capacità di ricercare il senso, il perché della vita e del suo essere al mondo.

Noi cristiani, aggrediti da sedicenti luci natalizie che non aspettano nessuno e tanto meno Qualcuno che ha da nascere – Natale sta appunto per diem natālem Christi (giorno di nascita di Cristo) – frastornati da rumori assordanti che ci disperdono facendoci ripiegare su noi stessi, dobbiamo ritrovare quel silenzio e quella notte che accolsero il Verbo fatto carne: la notte di Betlemme su cui si riverbera già la luce di un’altra notte, la notte di Pasqua, di cui si dice: «La notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia» (Preconio pasquale).

La luce di quella notte più luminosa del giorno è la luce di Cristo, della sua Parola e della grazia che scaturisce dai sacramenti. È la luce che illumina ogni uomo che viene al mondo e lo riscalda perché abbia la vita e cresca e maturi fino alla sua pienezza così da discernere tra le ingannevole luci la Luce vera che lo guidi dentro quelle notti, le sole capaci di verità.

La notte come il deserto e come il silenzio ci costringono a cercare l’Altro da noi, ci costringono a partire, ad uscire dalla nostra autosufficienza ed incamminarci verso Betlemme: «Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere» (Luca 2,15).
Carissimi fratelli e sorelle, andiamo! Un andare che è un fermarci in ascolto della Parola del Signore che sola ci guarisce dalla nostra cecità e sordità che non ci permettono di veder e di ascoltare l’altro accanto a noi e dunque di ricreare,
ritessere giorno dopo giorno quella famiglia umana che la storia dei nostri giorni sembra disperdere, frantumando e impoverendo terribilmente l’umanità.
La famiglia umana è nuovamente provata dalla guerra. È guerra nel cuore dell’uomo, nella comunità familiare, civile ed ecclesiale. Si avverte la triste realtà, come ci ha detto papa Francesco, che «la guerra distrugge anche la memoria dei passi compiuti verso la pace. La guerra distrugge tutto, tutto. Toglie l’umanità».

Recuperiamo la memoria e la speranza della pace, sforziamoci di essere uomini di pace.

Diciamo a noi stessi e al mondo che il nostro Salvatore viene! Colui che aspettavamo è venuto; non c’è da attendere un altro; egli reca con sé la mercede che è la vita nuova, la luce, la pace, lui stesso.
«Che cosa ha portato di nuovo il Signore venendo nel mondo?» Si sentivano domandare i primi cristiani e rispondevano: «Ha portato tutta la novità portando se stesso» (Sant’Ireneo). Lui stesso è la grande novità del mondo. (R. CANTALAMESSA)
Scriveva D. Bonhoeffer: «Attendere è un’arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato. Esso vuol staccare il frutto maturo non appena germoglia, ma gli occhi ingordi vengono soltanto illusi, perché un frutto apparentemente così prezioso è dentro ancora verde e mani prive di rispetto gettano via senza gratitudine ciò che li ha delusi. […] Nel mondo dobbiamo attendere le cose più grandi, più profonde, più delicate, e questo non avviene in modo tempestoso,
ma secondo la legge divina della germinazione, della crescita e dello sviluppo».
Carissimi, non ci stanchiamo di attendere!
Fraternamente
+ Carlo, vescovo