Tutti i santi

Omelia del nostro Vescovo Carlo

Un saluto fraterno a tutti voi e l’augurio di ogni bene e pace.
Una pace che può essere solo frutto di un desiderio, un anelito vero, autentico, sincero fino a tramutarsi, giorno dopo giorno, in un impegno serio e onesto ad accettare la fatica di entrare nella verità di noi stessi, delle nostre insofferenze per le diversità dell’altro, radici perverse capaci solo di alimentare il desiderio di possesso e la volontà di dominio.

Scriveva papa Francesco nel suo Messaggio per la Pace il 1 gennaio 2020: «La guerra, lo sappiamo, […] nasce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla superbia, dall’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro in un’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo. La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo».


Un’umanità, la nostra, che si vede minacciata e ha paura perché non riesce a cogliere, a vedere cosa c’è dietro quello che sta succedendo.

E al tempo stesso un’umanità monotona nel suo “giustificarsi e accomodarsi” sempre in scelte di morte, di violenza e di sopraffazione, terribilmente originale nel camuffare con un perbenismo dai colori più accesi come un arcobaleno il nostro essere perversi, egoisti e superbi.
Dov’è il regista di tanti teatri di guerra? Dove sono gli ideatori e gli artefici di tanti scenari di un terrorismo che ha superato la più perversa e diabolica immaginazione?
Si potrebbe rispondere: «Un nemico ha fatto tutto questo» (Mt 13,28).


Ma chi è questo nemico? Non abbiamo una risposta definitiva da dare, una spiegazione esauriente. Tutto rimane mistero, il mistero dell’iniquità.

In questo nostro tempo che possiamo definire di guerra, perché tale è, ci ritroviamo a celebrare la Solennità di Ognissanti e la Commemorazione dei Fedeli Defunti; ci troviamo dunque a ripensare alla luce della Parola di Dio i giorni dell’uomo sulla terra, la fatica della vita e la durezza di cuore e di mente che intesse una storia che sempre si ripete.

Un momento della celebrazione al cimitero di Piombino


È la vicenda dell’uomo, il suo andare verso l’Eterno a cui Dio lo ha chiamato, ma non per avventurarvisi da solo.
Ecco perché il cammino del cristiano è cadenzato da un fermarsi per rinfrancarsi, come ci invita a pregare la liturgia: «Pregate, fratelli e sorelle, perché il sacrificio della Chiesa, in questa sosta che la rinfranca nel suo cammino verso la patria, sia gradito a Dio Padre onnipotente».
Un rinfrancarsi per trovare riposo, ristoro ed essere liberati dalle tante oppressioni come abbiamo appena acclamato nel versetto alleluiatico: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).


I santi, carissimi tutti, hanno percorso questo cammino. Il cammino delle beatitudini è il cammino dei santi.

Scrive papa Francesco: «Ci possono essere molte teorie su cosa sia la santità, abbondanti spiegazioni e distinzioni. Tale riflessione potrebbe essere utile, ma nulla è più illuminante che ritornare alle parole di Gesù e raccogliere il suo modo di trasmettere la verità. Gesù ha spiegato con tutta semplicità che cos’è essere santi, e lo ha fatto quando ci ha lasciato le Beatitudini (cfr Mt 5,3-12; Lc 6,20-23). […]Le Beatitudini in nessun modo sono qualcosa di leggero o di superficiale; al contrario, possiamo viverle solamente se lo Spirito Santo ci pervade con tutta la sua potenza e ci libera dalla debolezza dell’egoismo, della pigrizia, dell’orgoglio» (Gaudete et exsultate, nn. 63.65).


Dobbiamo partire da noi stessi e andare a Dio. Questo è il vero esodo, la vera liberazione.


Ai pellegrini che domandano – come riecheggia il Salmo 23 appena ascoltato – chi sia degno di varcare le porte del tempio, le porte dell’eternità per incontrare il Signore e vivere per sempre alla sua presenza: Chi potrà salire il monte del Signore? Chi potrà stare nel suo luogo santo? Viene risposto: Colui che ha parole sincere e mani innocenti, chi accorda cuore, mano e bocca e non accoglie a vuoto il dono inestimabile della vita e non si volge agli idoli.
Con una sorta di dolore rabbioso scriveva H. Boll: «I cristiani sanno che cosa è un peccatore e sanno che cosa è un santo. Ma non sanno che cosa è un uomo».
Noi vogliamo credere con tutte le nostre forze e volontà che «la casa di Dio è una casa di uomini, non di super-uomini. I cristiani non sono super-uomini. E i Santi neppure, anzi, meno ancora, perché sono i più umani degli uomini […] Un eroe dà l’illusione di superare l’umanità, mentre il Santo non la supera, l’assume. Si sforza di realizzarla nel miglior modo possibile. Capite la differenza? Si sforza di avvicinarsi il più possibile al suo modello, Gesù Cristo» (G. BERNANOS).


Carissimi fratelli e sorelle, la fatica della santità è la fatica della vita e perciò la fatica dell’amore e potremmo dire è un entrare nello spirito delle beatitudini. Amore/vita, vita/amore sono inscindibili, volerli separare è una terribile assurdità. Incamminiamoci dunque, usciamo dai nostri egoismi, dalle nostre presunzioni, prepotenze e durezze di cuore, spesso camuffate anche ai nostri stessi occhi.
«I tuoi santi», scriveva G. von le Fort in uno dei suoi Inni alla Chiesa, «sono come le acque nella china delle montagne, che risalgono verso la Sorgente». Carissimi, celebriamo ora l’Eucarestia perché, come scriveva san Paolo diventiamo «un solo corpo, perché tutti partecipiamo all’unico pane» (1Corinzi 10,17).

Una realtà di comunione con il Signore e con i fratelli che riecheggia meravigliosamente nelle parole della scrittrice tedesca, appena citata, Gertrud von le Fort:

«La polvere dei nostri atomi si raccoglie[…]
Tu entri nel cuore della nostra solitudine,
per dischiuderla come una porta spalancata […]
Siamo un solo corpo e un solo sangue».

Un abbraccio a tutti voi, uniti nella preghiera e nei Santi Doni.
+ Carlo, vescovo

(Ringraziamo Milco Tonin per le foto)

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