Santa Pasqua

Il messaggio del nostro vescovo Carlo

Nella Lettera alla sorella Lina (13 ottobre 1886), Luigi Pirandello scrive: «Quando tu, in una parola, vivrai senza la vita, penserai senza un pensiero, sentirai senza cuore? Allora tu non saprai che fare: sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono così».

Non è forse l’uomo del nostro tempo viandante senza casa e uccello senza nido?

Che rifiuta di avere una meta, di decidersi per un cammino evitando così la fatica di una scelta? Salvo poi cercare giustificazione e senso a quello che ha vissuto istintivamente, non facendo altro che equivocare piccole tappe per grandi mete.
Ecco che il tempo passa senza fatica, ma ahimè senza salario.
La vita, come scriveva Romano Guardini, ha da essere vissuta e realizzata attraverso le incertezze, le paure e se volete anche le angosce, che le diverse crisi – quella della crescita, quella legata all’esperienza, alla crisi del limite e la crisi del distacco – richiedono, collegando l’una all’altra in una vitale gradualità che sola permette una vera crescita. (Cfr. L’età della vita, Milano 2006, p. 33)

Ogni età, ci ricorda Guardini, ha la sua bellezza singolare, che va colta e realizzata: è il segreto di una vita eticamente compiuta, affrancata dall’ansia per il tempo che scorre.
Veramente i nostri giorni sembra vogliano fermare il tempo, trovare ogni escamotage per una perenne giovinezza. Eppure, come qualcuno ha scritto: «Invecchiare sarà anche difficile, ma non crescere mai potrebbe rivelarsi una discreta anteprima dell’inferno»
La grande solennità della Pasqua riversa sul mondo e sulla storia l’abbondanza dell’amore di Cristo Signore a cui attingere per vivere la vita. È l’amore di qualcuno che ci permette di crescere. Solo un Altro accanto a noi ci può far uscire da quel ripiegamento antico che allontanò la creatura dal suo Creatore e rimetterla in cammino, un cammino di ritorno, dunque di conversione. 

Dio onnipotente ed eterno,  
ammirabile in tutte le opere del tuo amore,  
illumina i figli da te redenti  
perché comprendano che, se fu grande all’inizio  
la creazione del mondo,  
ben più grande, nella pienezza dei tempi,  
fu l’opera della nostra redenzione,  
nel sacrificio pasquale di Cristo Signore.

Quel ripiegamento antico che ci costringe a vivere come sepolti vivi nelle nostre paure, angosce e sconfitte. Una sorta di «tombe sigillate», come ci fa notare il Papa. Quell’atteggiamento che ci porta spesso a dire e a pensare, come continua il santo Padre, in termini di «“non c’è più niente da fare”, “le cose non cambieranno mai”, “meglio vivere alla giornata” perché “del domani non c’è certezza”».

Invece la Pasqua del Signore, ogni anno, «ci riporta al nostro passato di grazia, ci fa riandare in Galilea, là dov’è iniziata la nostra storia d’amore con Gesù.

Ci chiede, cioè, – prosegue papa Francesco – di rivivere quel momento, quella situazione, quell’esperienza in cui abbiamo incontrato il Signore, abbiamo sperimentato il suo amore e abbiamo ricevuto uno sguardo nuovo e luminoso su noi stessi, sulla realtà, sul mistero della vita» (Omelia nellaVeglia Pasquale,8.IV.2023).

Carissimi fratelli e sorelle, il cammino quaresimale ci ha invitato continuamente a riscoprire e soprattutto a vivacizzare  il dono grande del battesimo. La festa di Pasqua ci faccia immergere nuovamente  in quel fonte della misericordia e del perdono del Padre che ci restituisce giovinezza e nuovo vigore.
Agostino narra l’esperienza del suo battesimo con pochissime parole, ma che ci dicono di un’immensa gioia: «Fummo battezzati e si dileguò da noi l’inquietudine della vita passata»(Confessioni IX, 6.14).
È la novità del dono grande del Battesimo: l’essersi rivestiti di Cristo. Scrive san Paolo ai Galati: «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo» (3,27). Il simbolismo cristiano trovò mezzo di esprimere la mondezza interiore, ricoprendo il neofito con una veste bianca. (Cfr. M. RIGHETTI, Storia Liturgica, IV, Milano 2005, II° ed. anastatica, p. 122)
Ma oggi avvertiamo ancora il dono grande del Battesimo? Paolo VI scriveva: «Chi è stato battezzato ha bisogno di capire, di ripensare, di apprezzare, di assecondare l’inestimabile fortuna del sacramento ricevuto. […] Si prospetta così una catechesi successiva a quella che il Battesimo non ha avuto» (Udienza generale, 12.I.1977).
Ripensiamo e riflettiamo che con il battesimo siamo figli di Dio nel Figlio unigenito e possiamo dire la preghiera dei figli di Dio: il Padre nostro.

Non Padre mio, ma Padre nostro cosicché siamo chiamati a quella fraternità, a quell’essere con l’altro e per l’altro che solo lo stare con il Signore può realizzare.
Scrive san Cipriano: «Affinché colui che prega non preghi unicamente per sé. La nostra preghiera – continua – è pubblica e comunitaria e, quando noi preghiamo, non preghiamo per uno solo, ma per tutto il popolo, perché con tutto il popolo noi siamo una cosa sola» (L’orazione del Signore 8).
È urgente chiedere «a Dio», come ci suggerisce papa Francesco, «di rafforzare l’unità nella Chiesa, unità arricchita da diversità che si riconciliano per l’azione dello Spirito Santo. Infatti “siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo” (1 Cor 12,13), dove ciascuno dà il suo apporto peculiare. Come diceva Sant’Agostino, “l’orecchio vede attraverso l’occhio, e l’occhio ode attraverso l’orecchio” (Enarrationes in Psalmos, 130, 6: PL 37, 1707)» (Fratelli tutti, n. 280).
Carissimi fratelli e sorelle, il nostro tempo è caratterizzato da una cultura che possiamo definire “way of life”, un modo di vivere nel quale non conta la verità, ma l’apparenza, una ricerca sfrenata dell’effetto, della sensazione. E contrabbandando l’aver ragion con la verità si distruggono uomini, si vuole distruggere e creare solo se stessi come vincitori. 

Il cristiano, nel Battesimo, rinuncia a Satana, alle sue seduzioni, alla sua “pomposità”.

Una rinuncia molto reale: la rinuncia ad un tipo di cultura che è un’anti-cultura, contro Cristo e contro Dio. Una cultura che, nel Vangelo di san Giovanni, è chiamata «kosmos houtos», «questo mondo».
«Essere battezzati significa proprio sostanzialmente un emanciparsi, un liberarsi da questa cultura. Conosciamo anche oggi un tipo di cultura in cui non conta la verità. Anche se apparentemente si vuol fare apparire tutta la verità, conta solo la sensazione e lo spirito di calunnia e di distruzione. Una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è, in realtà, una maschera per confondere, creare confusione e distruzione. Contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo “no”» (BENEDETTO XVI, Lectio divina, San Giovanni in Laterano, 11.VI.2012).
Carissimi fratelli e sorelle, nella santa veglia di Pasqua rinnoveremo le nostre promesse battesimali. Chiediamo al Signore la grazia di impegnarci ogni giorno a vivere quanto abbiamo promesso: «O Padre, che da ogni parte della terra hai riunito i popoli per lodare il tuo nome, concedi che tutti i tuoi figli, nati a nuova vita nelle acque del Battesimo e animati dall’unica fede, esprimano nelle opere l’unico amore» (Colletta, giovedì dell’ottava di Pasqua).

A tutti il mio augurio di pace e di bene.
+ Carlo, vescovo