Messaggio di Natale del nostro Vescovo Carlo

 
 
Carissimi,
il tempo di Avvento, che ogni anno ci guida al Natale, è un cammino verso la Luce che illumina ogni uomo, verso il Sole che sorge dall’alto: Gesù Cristo, il Figlio di Dio. È proprio il riverbero di questa luce che raggiungendo l’uomo lo attira. E come potrebbe non attirarlo? Può forse l’uomo arrendersi al buio del mistero che lo avvolge, rifugiandosi nella rassegnazione o in una sorta di dimenticanza di sé, del suo essere nel mondo? È una luce nuovissima, diversa da ogni altra luce, incomprensibile all’orgoglio e alla superbia antica. Il buio che avvolge la nostra ricerca rende impotenti i nostri ragionamenti che, come lucignoli fumiganti, si dibattono nella notte del mondo, cercando in alto, guardando in alto. In questa notte, che noi cristiani chiamiamo notte santa, le fitte tenebre sono come scosse da una luce nuovissima che raggiunge, consola e rianima l’uomo, stanco e senza speranza, a causa della sua inutile e solitaria ricerca. Una sorta di dolce esplosione di luce e di calore raggiunge il mondo:
Sulla terra è caduto come un pegno
Dio troppo grande pel cielo.
Da ogni cosa esplodendo egli ha infranto
i confini dell’eterno
 
celebra l’acuta e sapiente penna di G. K. Chesterton.
 
E continua, il medesimo:
 
Chi sarà fiero se i cieli sono umili,
chi salirà se i monti cadono,
le stelle fisse slittano e un diluvio
d’amore tutto sommerge?
Chi mai potrà a corona aspirare,
chiamar diritto sua voglia,
col flusso astrale lottare,
se in basso discende tutto ch’è bene?
Gloria in Profundis (1926)
 
Ogni anno la solennità del Natale è un nuovo annuncio, che interpella l’uomo, la sua esperienza, la sua storia, i suoi più profondi desideri. Quella stessa luce che avvolse i pastori fino a farli decidere di incamminarsi, di partire, dicendosi, quasi incoraggiandosi l’un l’altro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere (Lc 2,15)».
Un partire come i Magi alla luce della stella che hanno visto nel suo sorgere (cfr. Mt 2,1), alla luce della Chiesa, della Parola che annuncia, soprattutto nella forza della grazia che scaturisce dalla celebrazione dei Misteri che il Signore le ha affidato.
Ma perché partire? Perché incamminarsi con tutto il disagio di un viaggio: un uscire dalle nostre sicurezze, dalle nostre ricchezze, dalla gente che conosciamo e ci conosce? Perché chi non parte rimane solo. Non incontra né Dio e neanche l’uomo! I nostri giorni indugiano a riconoscere questo, ma sono giorni di solitudine! Arroccati, perché impauriti. Una generazione resa ansiosa dal fallimento delle false sicurezze. Rintanati perché non avvezzi alla fatica dell’accoglienza dell’altro, che ci riempie di gioia e pace, perché non più estraneo. Non un’ accoglienza che ammucchia gli uomini, li gestisce, li intruppa, ma un’ accoglienza fondata nella verità e nella carità, che giorno dopo giorno genera comunione.
Come i pastori, i magi, gli uomini e le donne che in questi duemila anni sono partiti verso Betlemme e lì hanno incontrato il Bambino con Maria sua Madre, e così hanno celebrato veramente il Natale, anche noi vogliamo partire. Ora lo possiamo. Ora l’uomo è illuminato e reso forte dalla grazia di quel Bambino, che è pane disceso dal cielo. L’uomo può partire, sapendo dove andare, perché Dio, l’Emmanuele, si è fatto uomo ed è con lui. E così godere della beatitudine promessa:
L’anima mia languisce
e brama gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.
Anche il passero trova la casa,
la rondine il nido,
dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari,
Signore degli eserciti, mio re e mio Dio.
Beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi!
Beato chi trova in te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio.
Salmo 83
 
 Dunque partiamo, lasciamo le nostre tenebre, il nostro peccato e andiamo. Lasciamoci abbracciare da quella luce che è Cristo. Facciamoci dire da quell’avvenimento, da quella povertà che cosa è ricchezza! Lì è il vero Re, Dio fatto uomo, che ci racconta con una stalla, una caverna, un rudere, ma con una famiglia che ama e accoglie la vita, da dove ripartire per riedificare le nostre case, le nostre città, soprattutto l’uomo.
Ancora una volta le rovine prorompono di gioia! Finalmente il vero rinnovatore, il vero restauratore, che riedificherà le nostre rovine, continuamente mortificate dai falsi profeti, stracarichi di progetti sempre più rovinosi.
Quell’uomo fatto rudere in Adamo, ora riedificato in Cristo, per essere accogliente, per accogliere l’altro!
Dopo esser andati a Betlemme «i pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. (Lc 2,20)».
Un ritorno fatto di gioia perché avevano udito e visto. Solo questo udire e vedere, che è ascolto della Parola, vivere i sacramenti, ci permette di sapere di noi e dell’altro accanto a noi. Cristo nuovo Adamo orienta l’uomo verso una fraternità impossibile da realizzare senza di Lui.
Scrive papa Francesco: «La radice della fraternità è contenuta nella paternità di Dio. Non si tratta di una paternità generica, indistinta e storicamente inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e straordinariamente concreto di Dio per ciascun uomo (cfr Mt 6,25-30). Una paternità, dunque, efficacemente generatrice di fraternità, perché l’amore di Dio, quando è accolto, diventa il più formidabile agente di trasformazione dell’esistenza e dei rapporti con l’altro, aprendo gli uomini alla solidarietà e alla condivisione operosa. In particolare, la fraternità umana è rigenerata in e da Gesù Cristo con la sua morte e risurrezione. La croce è il “luogo” definitivo di fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado di generare da soli. Gesù Cristo, che ha assunto la natura umana per redimerla, amando il Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8), mediante la sua risurrezione ci costituisce come umanità nuova, in piena comunione con la volontà di Dio, con il suo progetto, che comprende la piena realizzazione della vocazione alla fraternità» (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale della Pace, n. 3).
Il nostro tempo vede un uomo che si fa luce da solo, che affronta il mistero della vita con la sola luce della ragione. Eppure tutta la nostra vita è stata illuminata e custodita da qualcun altro da noi, da qualcuno che ci ha amati. Ci hanno amati, come hanno potuto, sicuramente con le migliori intenzioni, ma come è stato loro possibile, con la miopia, l’egoismo e la finitezza di ogni uomo, anche il migliore. Andiamo al Signore per trovare luce e forza per andare all’altro, ovunque egli si trovi e non piuttosto per attirare egoisticamente l’altro a noi, volendolo a nostra immagine e somiglianza. Abbiamo bisogno della luce e della grazia di colui che è la sorgente dell’amore: Gesù Cristo, nato a Betlemme di Giudea dalla Vergine Maria. Annotava Benedetto XVI, nella notte di Natale del 2009: «Nella Liturgia della Notte Santa Dio viene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascoltiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una volta sia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamo che venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivo più io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)”. Sì, per questo vogliamo pregare (…). Signore Gesù Cristo, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima. Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamo persone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo viene trasformato. Amen.»
A tutti il mio augurio di ogni bene e pace.
 
+ Carlo, vescovo