Avvento

Messaggio del nostro vescovo Carlo

Nel file allegato il messaggio del Vescovo Carlo per l’inizio dell’Avvento

Carissimi, in questo inizio del cammino di Avvento è necessario che ci domandiamo come porsi in ascolto dell’annunzio del Natale, della venuta del Verbo di Dio fatto carne, che caratterizza questo tempo di attesa speranzosa.
Papa Francesco ci dice che dobbiamo stare attenti a come ascoltiamo, chi ascoltiamo, cosa ascoltiamo. (Cfr. Messaggio per la LVI giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 22. I. 2022). Direi che il nostro ascolto deve essere fatto con cura e con attenzione grande. Quell’attenzione che aumenta, che si fa più intensa quanto più è prezioso per noi ciò che ci è dato di ascoltare. Pensate quanta cura a raccogliere e custodire l’acqua nelle regioni desertiche e quanto trasporto e devoto ascolto noi diamo a colui che ci porta notizie di persone amate e attese.

Noi chi attendiamo? Che cosa attendiamo? O meglio: siamo ancora capaci di ATTESA?

L’Avvento, allora, è un’occasione privilegiata e preziosa che ci chiama alla fatica di ricomporre i nostri giorni quasi disintegrati da rumori assordanti che ci impongono, ci costringono a subire ben altri annunci di ben altre salvezze che si rivelano inganno e terribile illusione.
Per noi cristiani «l’uomo», come scrive Romano Guardini, «non esiste che in quanto riferito a Dio, perciò il suo carattere viene definito dal modo stesso in cui egli concepisce questa relazione, dalla serietà con cui la considera, dall’azione che, in base ad essa, egli compie[…]Dio è la realtà che fonda ogni altra realtà, anche l’umana. Se non Gli si rende il Suo diritto, l’esistenza si ammala» (La fine dell’epoca moderna/Il potere, Morcelliana, Brescia 2007, p. 216).  
Approfittiamo di questo tempo di Avvento per recuperare il nostro attendere il Signore e al tempo stesso stare con il Signore.

Un’attesa che è già presenza, una presenza che diviene attesa: già è non ancora.  

Ora sorge un interrogativo: come riempire questa domanda di concretezza? Soprattutto di verità? Come sapere se noi aspettiamo veramente il Signore in modo sincero, operoso, vivace, dunque cristiano?
L’attesa del Signore è l’accoglienza autentica dell’altro, è uscire dalla nostra autosufficienza, non è far finta di accogliere, recitare l’accoglienza. Addirittura viverla in quell’equivoco che solo un supplemento di grazia ci permette di smascherare prima di tutto in noi e poi negli altri.
Quante relazioni sacrosante, genitori/figli; marito/moglie; fratelli/sorelle non solo di sangue abbisognano di questo supplemento.
Un amico psichiatra parlava a proposito di egoismo creativo che riesce a mimetizzarsi, travestirsi fino a confondersi se non addirittura a «vendersi e fare commercio» come fosse la più genuina fratellanza e la più sofferta solidarietà.
Carissimi, il Signore ci faccia comprendere che abbiamo bisogno dell’altro e così sarà facile per noi metterci, dedicarsi generosamente all’opera bella, all’opera santa di essere costruttori, artigiani di relazione. Sappiamo come nei nostri giorni è sempre più difficile, più faticoso fare questo.
Mai come oggi, infatti, dobbiamo recuperare un’ autenticità fuggendo da quelle relazioni false, artefatte che definiscono il politicamente corretto, la buona creanza e la buona educazione e che vanno bene in tram, nella strada, quando siamo invitati a qualche festa, ma non possono andar bene nell’intimità della famiglia, nella vita delle nostre parrocchie e delle altre comunità, dove si decidono e si organizzano i momenti educativi della nostra vita  e della nostra crescita umana e cristiana. Lì c’è bisogno di carità e verità.

L’avvento è un costruire, un uscire da noi e un andare all’altro che viene. All’altro: a Dio e all’uomo.

Scrive papa Francesco al n. 198 della Fratelli tutti: «Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare. Non c’è bisogno di dire a che serve il dialogo. Mi basta pensare che cosa sarebbe il mondo senza il dialogo paziente di tante persone generose che hanno tenuto unite famiglie e comunità. Il dialogo perseverante e coraggioso non fa notizia come gli scontri e i conflitti, eppure aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto».
Non fare notizia non equivale a non fare bene, tanto bene; anzi, il Signore viene a noi in silenzio come la pioggia sul vello (cfr. salmo 71), e il suo venire è un dialogare con l’uomo, un lasciarsi vedere, toccare, conoscere: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita» (1Giovanni 1,1). Come ci ricorda Ludwing Monti già gli antichi romani affermavano che dii lanatos pedes habent, cioè che gli dei hanno i piedi fasciati di lana e i loro passi risultano impercepibili, il loro avvicinarsi una sorpresa, il loro presentarsi un’epifania.
«Le coppie, le famiglie e tutti gli altri esseri umani, […] non hanno la forza di vedere quanta vita, quanti gesti abbiamo attorno a noi durante quella che sembra un’attesa. L’avvento non è un’attesa inerte bensì il predisporsi, nella selva dei dubbi, dei dolori e delle ingiustizie,[…] ad  attenderlo, che non vuol dire sedersi, ma aprire gli occhi ai suoni, le orecchie ai gesti. Scompigliare i sensi.
“Verrà, se resisto/a sbocciare non visto/verrà d’improvviso,/quando meno l’avverto:/verrà quasi perdono/di quanto fa morire,/verrà a farmi certo/del suo e mio tesoro, /verrà come ristoro/delle mie e sue pene,/verrà, forse già viene/il suo bisbiglio”(C. REBORA, Dall’immagine tesa)» (C. GOVERNA in L’Osservatore Romano, 15.XII.2020).

A tutti il mio augurio di un fruttuoso cammino d’Avvento.
+ Carlo, Vescovo