Solennità dell’Epifania 2012

Nella Solennità dell’Epifania 2012
 
Carissimi,
l’odierna solennità dell’Epifania celebra il rivelarsi di Dio alle genti. L’inno di vespro di questo giorno fa emergere quasi un dipanarsi, un raccontare il mistero che oggi si celebra:
“I Magi vanno a Betlem
e la stella li guida:
nella sua luce amica
cercan la vera luce.
Il Figlio dell’Altissimo
s’immerge nel Giordano,
l’Agnello senza macchia
lava le nostre colpe.
Nuovo prodigio, a Cana:
versan vino le anfore,
si arrossano le acque,
mutando la natura”.

Tre manifestazioni, dunque, a Betlem ai Magi, al Giordano, a Cana di Galilea.
Lasciamo da parte quanto ci dice Clemente Alessandrino a proposito della setta gnostica dei Basilidiani che commemoravano in questo giorno la nascita e il battesimo di Gesù, poiché la gnosi eretica riteneva che solo nel momento del battesimo la divinità si fosse congiunta all’umanità di Cristo; doveva dunque da quel punto computarsi la vera nascita divina di Gesù.  Fatto sta che in tale giorno erano battezzati i catecumeni, donde i nomi di festa delle luci, dies baptisimalis, datogli dai Padri greci i quali la celebrano cantando a Cristo, che irradia con la sua luce il mondo. Cristo ci illumini col suo splendore, scrive S. Gregorio Nazianzeno, Cristo è battezzato, scendiamo noi pure per risalire con Lui.[1]   
Quando, nella seconda metà del IV sec., la solennità dell’Epifania passa in Occidente, non si intende più celebrare il Battesimo di Gesù, ma l’incontro dei Magi con il Bambino, il Suo manifestarsi come Signore e Re a tutte le nazioni della terra. Nel Natale il nato Messia si manifesta all’antico popolo dell’Alleanza, nell’Epifania a tutti i popoli, a tutte le genti che formeranno la Chiesa, futuro popolo di Dio (primitiae gentium).
Scrive Sant’Agostino: “Pochi giorni fa abbiamo celebrato il Natale del Signore, oggi celebriamo l’Epifania. Questa parola greca significa manifestazione e si riferisce a quanto disse l’Apostolo: davvero grande è il mistero della sua misericordia: egli si manifestò nella carne . Tutti e due i giorni pertanto riguardano una manifestazione di Cristo. Nel giorno di Natale è nato come uomo da una madre, creatura umana, colui che da sempre era Dio presso il Padre. Ma si è manifestato nella carne alla carne, perché la carne non poteva vederlo così com’era prima, cioè spirito. E in quel giorno, che si chiama Natale del Signore, andarono a vederlo i pastori del popolo dei Giudei; oggi invece, che è chiamato propriamente Epifania, cioè manifestazione, vennero ad adorarlo i magi, provenienti dai pagani. Ai primi lo annunziarono gli angeli, a questi una stella. Gli angeli abitano i cieli e gli astri li ornano: ad ambedue, i cieli hanno dunque narrato la gloria di Dio”. [2]
Sarà Ambrogio di Milano che, parlando di altre due manifestazioni, teofanie: il battesimo di Gesù e l’acqua tramutata in vino a Cana di Galilea, aprì a una comprensione che molto più tardi giunse a esprimere
 nell’antifona romana del Benedictus, forse introdotta dal papa siro Gregorio III, l’intera idea nuziale epifanica, cantando: 
Hodie caelesti sponso juncta est Ecclesia, quoniam in Jordane lavit Christus ejus crimina: currunt cum muneribus Magi ad regales nuptias, et ex aqua facto vino laetantur convivae, alleluia”.3 Oggi la Chiesa, lavata dalla colpa nel fiume Giordano, si unisce a Cristo, suo Sposo, accorrono i magi
con doni alle nozze regali e l’acqua cambiata in vino rallegra la mensa, alleluia.                                                                                                                                                                  
Carissimi, la gioia di questo giorno diviene per alcuni turbamento. La luce di questo giorno urta il nostro sonnecchiare nella notte del mondo, ci disturba questo Bambino, troppo piccolo, troppo indifeso, troppo povero.  Che cosa può dire? Che cosa può fare? Ma soprattutto come può salvare? Eppure Erode il Grande è turbato e con lui tutta Gerusalemme. Il turbamento di Erode è mistero grande. Venti secoli di storia del Cristianesimo ci dicono di un mondo non turbato dalla potenza, dalla grandezza o dalla magnificenza di ciò che i cristiani hanno costruito, hanno realizzato, seppur tutto questo possa generare ammirazione e plauso, ma è la santità, che riverbera la luce eterna che rifulge da Betlem, che scuote e interroga e turba. Una santità che si fa umile o addirittura si umilia per amore. Un umiliarsi che è un confondersi, un essere per l’altro fino al sacrificio di sé. Questo hanno fatto i santi, questo ha turbato il mondo. Una certa letteratura può far sorridere, sembra solo voler strappar lacrime, roba da bambini. Eppure è solo la nostra superbia, il nostro egoismo che non ci permette di vedere l’amore di Dio verso di noi o addirittura di non vedere l’Amore, che è Dio stesso, e restarne turbati. Si ripensi ai tanti canti e poesie del Santo Natale: Tu scendi dalle stelle, In notte placida. Si rileggano le belle esortazioni del Beato Giovanni Dominici: “Cercate Cristo tra voi (…) Adoratevelo, abbracciatevelo, stringetevelo, baciatelo, nascondetelo, ponetelo al petto della carità (…) Nasce Cristo nel cuore e a poco a poco cresce, riscalda el tempo, el dì dilunga, abbellisce la terra, gioconda gli uccelli, iubilar Maria, Ioseph godere, cantare gli angeli, rischiarare i cieli, le stelle rinnovare, correre i pastori, i magi predicare, meravigliare i giumenti, fiorire il fieno, Dio e uomo mescolare insieme”.
O cari, vogliamo restare turbati in questo giorno, ma non come Erode e gli abitanti di Gerusalemme, ma turbati dall’amore.  Come quando abbiamo
ricevuto una carezza, un abbraccio, un dono inaspettato e soprattutto immeritato, che ci ha fatto trasalire, ci ha scosso nelle fondamenta, riempiendoci di speranza, tirandoci fuori da una sorta di ripiegamento su noi stessi, liberandoci dalla paura dell’essere al mondo e dalla paura dell’altro. Ritorniamo semplici, ritorniamo a credere l’amore. Riascoltiamo l’annuncio del profeta Isaia, crediamo a quell’annuncio: “Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te “. 60,1-2

Il venire di Dio, come abbiamo letto nel salmo 71, “libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto. Avrà  pietà del debole e del misero e salverà la vita dei miseri”.
Dopo la comunione così pregheremo:
La tua luce, o Dio, ci accompagni sempre e in ogni luogo, perché contempliamo con purezza di fede e gustiamo con fervente amore il mistero di cui ci hai fatti partecipi”.
Questo gustare con fervente amore il mistero di cui il Padre ci ha fatto partecipi in Cristo è dono che scende dall’alto. Non potrebbe essere mistero di amore se non ci fosse donato!  Nessuno creda di possedere l’amore se non lo riceve da Dio stesso. In Cristo, Parola di Dio fatta carne, noi incontriamo questo mistero nel tempo e nella storia, in Lui siamo fatti partecipi di questa Epifania di Dio che è Epifania dell’Amore.
A quest’Amore noi andiamo come a sorgente per bere l’amore, per riceverlo e poi donarlo. Sappiamo bene, infatti, come scrive il Beato Dominici che “molti pesci sono esposti al sole, ma, coperti come sono dall’acqua, non si riscaldano; molti ciechi sono nella luce eppure non vedono; molti recipienti contengono il cibo eppure non mangiano. Vedi bene, quindi, che non basta trovarsi in un luogo per partecipare la virtù di esso, se manca la dovuta disposizione. L’infermo mangia senza giovamento; il morto posto accanto al fuoco non percepisce il calore. Se anche uno sta al sole, però si fa bagnare continuamente dall’acqua, non si scalda, ma trema sempre dal freddo.  Così pure noi, sebbene si sia posti nel fuoco divino — il quale riscalda non il corpo, ma l’anima —, non possiamo ricevere nessun beneficio da codesto fuoco, se si continua a investire l’anima con la grandine della carne, col ghiaccio del mondo e col vento della tentazione. Perciò è necessario tener lontana l’anima da codesti pericoli, e allora, come dice il Salmista, nessuno saprà sottrarsi al suo calore”. [3] Non illudiamo noi stessi, non prendiamo in giro il mondo. Il nostro narcisismo, rivestito e camuffato sotto le cangianti vesti che l’ideologia del momento offre sornionamente e diabolicamente ai ghiotti e perversi appetiti del nostro egoismo, non sia la misura della necessità dell’altro. I nostri tempi, ahimè, ci offrono eloquenti esempi di questo imbroglio. 
Sia la carità cristiana, che sgorga dal mistero di morte e risurrezione di Cristo, che vogliamo vivere nella fede della Chiesa, a raggiungerci per salvarci e poi inviarci, fragili e minuscoli frammenti, umili testimoni,
 
 
 
piccole epifanie che manifestano al mondo l’amore di Dio. Solo in questa luce vedremo l’altro per servirlo, amarlo e per camminare con lui fino al giorno in cui, come i santi Magi, al termine della nostra vita potremmo trovare con immensa gioia, Cristo, luce dell’eterna gloria.
 
+ Carlo Ciattini
 
 
 
 
 

 


[1]Cfr.  M. RIGHETTI, Storia liturgica,  vol. II,  pp. 103-104
[2] Serm. 204, 2
[3] Dalle “ Opere ” del beato Giovanni Dominici, vescovo. “Il libro di amore di carità”, a cura di A. Ceruti, Bologna 1869; cc.39 s.