Solennità Maria santissima Madre di Dio

Messaggio del nostro Vescovo Carlo

Gesù Cristo è sempre lo stesso
ieri, oggi e nei secoli eterni.
(Eb 13,8)


Carissimi fratelli e sorelle,

testimoni del Natale del Signore sono senza dubbio i pastori. 

Tutte le caratteristiche, le coordinate, i tratti e lo stile del testimone sono scolpite, o se volete, ben evidenziate con delle pennellate, come di un pittore impressionista, nell’evangelo di Luca appena letto: «I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Lc 2,20).

Tornarono da dove erano partiti, ma ora ricchi di un incontro fatto, un incontro banale, quello con un bambino in braccio a sua madre, eppure quello che avevano visto e udito li faceva glorificare e lodare Dio.

Il loro sguardo superava l’evidenza, la luce del Natale li rendeva capaci di vedere oltre quella madre e quel figlio. Un’esperienza umana, un semplice incontro che li fa entrare in un mistero che si sta svelando e di cui quel bambino è il centro e il protagonista.

Gli angeli annunciano ai pastori di un bambino “nato per voi” (Lc 2,11), dunque non può che essere atteso. È qualcuno per noi, non possiamo non accoglierlo rimarremmo terribilmente soli, un inferno. «Il Salvatore non è semplicemente nato, ma è nato “per voi”. Questo a dire che quella nuova vita non è genericamente nata, ma è fin dal primo momento una vita “per voi”. Questo bambino non nasce per se stesso, non vivrà per se stesso e non morirà per se stesso. […] Quel bambino è “per voi” e nell’ultima cena Gesù dirà ai suoi che quel pane è il suo corpo “per voi” (Lc 22,19). Questo essere-per è costitutivo dell’esistere del Signore Gesù. Dunque i pastori sono implicati nella nascita di quel bambino non come semplici spettatori ma come destinatari del fatto» (G. BOSELLI, Attendere l’Inatteso, San Paolo 2022, pp. 106-107).

E in quanto destinatari del fatto essi non gli rimarranno estranei, quell’incontro entra nella loro vita fino a penetrarla come il lievito nella pasta, fino a darle sapore come il sale.

Ecco la testimonianza, raccontare con la propria vita qualcosa che ci ha cambiato, ci ha rinnovato, ci ha collocato altrove da dove eravamo o almeno ci ha fatto incamminare, partire. Quando la vita scorre nell’ordinario, nel quotidiano che cosa dovremmo testimoniare?

Ma quand’è che noi siamo chiamati a testimoniare se non quando è successo qualcosa nella nostra vita? Un incontro, un fatto, un accadimento. E quanto quella testimonianza ci coinvolge se non in proporzione a quanto ci ha cambiato la vita?

E quando la vita cambia, perché arricchita da una presenza, è naturale divenirne testimoni, portare questa “novità buona”, questa “buona novella” al mondo intero.

E Dio sa se il mondo oggi ha bisogno di testimoni che vivano la testimonianza e non la recitino. E chi è che recita la testimonianza se non quanti hanno la pretesa di essere loro misura e peso di tutto e di tutti, inquisitori raffinati che si trasformano camaleonticamente da aguzzini in vittime, da persecutori in perseguitati, portatori di divisione e sabotatori raffinati di ciò che fanno gli altri. Con i loro gruppuscoli si allontanano, si isolano, mentre proclamano fraternità, unità e comunione. Giuseppe Dossetti, con rara intelligenza e raffinato acume, scriveva: «Siamo in un periodo di frantumazione del pensiero, di un pensiero che si fa sempre più debole … ogni tentativo di ricostruire una sintesi culturale o una organicità sociale che difenda la Fede sarà sempre più un tentativo illusorio … Forse già in questi giorni si preparano nuovi presidi, nuove illusioni storiche, nuove aggregazioni che cerchino di ricompattare i cristiani. Ma i cristiani si ricompattano solo sulla parola di Dio e sull’Evangelo … La Chiesa stessa, se non si fa più spirituale, non riuscirà ad adempiere la sua missione e a collegare veramente i figli del Vangelo!» (Omelia in occasione della professione di Giovanni Lenzi, Montesole 1992).

Carissimi fratelli e sorelle il mondo ha bisogno di sapere che Dio è per l’uomo, per ogni uomo. Solo questa bella e nuova notizia ci farà emergere dalla profondità della nostra autosufficienza e del nostro egoismo, dalla superbia di una vita impastata di rancori, astio, livore e risentimento che spesso coviamo nei nostri cuori. Un covare che prima o dopo porta a far nascere conflitti, guerre e rappresaglie sia a livello personale che di gruppi e di nazioni.

Solo Dio ci offre la libertà vera, dove l’uomo cresce in umanità perfezionando se stesso e la comunità. Se l’uomo si riferisce solo a se stesso diviene un manipolatore o un manipolato, i rapporti si fanno artificiosi e prima o poi sfociano in contrasti terribili sia tra singoli: plagio, abusi, sfruttamento o soggiogamento a livello economico, morale, psichico e fisico; sia tra nazioni: guerre, sottomissione e asservimento attraverso la manipolazione perversa della finanza, dell’economia e dei diversi settori nati per la crescita e lo sviluppo dei popoli.

«La dignità della persona, propria di ogni essere umano, esige che esso operi consapevolmente e liberamente. Per cui nei rapporti della convivenza, i diritti vanno esercitati, i doveri vanno compiuti, le mille forme di collaborazione vanno attuate specialmente in virtù di decisioni personali; prese cioè per convinzione, di propria iniziativa, in attitudine di responsabilità, e non in forza di coercizioni o pressioni provenienti soprattutto dall’esterno. Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e perfezionare se stesse» (Pacem in terris n. 17).

Questa operazione sarà attuata allorché riferendoci a un Dio creatore e padre ci riconosceremo fratelli senza se e senza ma.

Scrive nel suo Messaggio per la 56ma Giornata della Pace 2023 papa Francesco: «Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. […] Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi».

Per noi credenti la fede deve essere vita. E questo è possibile se incontriamo il Signore nei sacramenti, dialoghiamo con Lui nella preghiera, parliamo con Lui cercando di sentire come Lui. Sarà un’esperienza che cambierà la nostra vita e non potremo non testimoniarla agli altri. Pensiamo ai santi che hanno vivacizzato, consolato, rigenerato e ricreato popoli, intere stagioni della storia portando Cristo che avevano incontrato e con cui vivevano fin nelle più piccole scelte del quotidiano.

«Sicurezza, integrità, giustizia e pace: nel disegno di Dio per il mondo esse sono inseparabili. Lungi dall’essere semplicemente il prodotto dello sforzo umano, esse sono valori che promanano dalla relazione fondamentale di Dio con l’uomo, e risiedono come patrimonio comune nel cuore di ogni individuo. […] Una durevole sicurezza è questione di fiducia, alimentata nella giustizia e nell’onestà, suggellata dalla conversione dei cuori che ci obbliga a guardare l’altro negli occhi e a riconoscere il “tu” come un mio simile, un mio fratello, una mia sorella. In tale maniera non diventerà forse la società stessa un “giardino ricolmo di frutti” (cfr Is 32,15), segnato non da blocchi e ostruzioni, ma dalla coesione e dall’armonia? Non può forse divenire una comunità di nobili aspirazioni, dove a tutti di buon grado viene dato accesso all’educazione, alla dimora familiare, alla possibilità d’impiego, una società pronta ad edificare sulle fondamenta durevoli della speranza?» (BENEDETTO XVI, Discorso durante la visita di cortesia al presidente dello stato di Israele, Gerusalemme, 11.IV.2009).

Nella stessa occasione il Santo Padre ebbe a sottolineare che sapeva bene «che un numero considerevole di uomini, donne e giovani stanno lavorando per la pace e la solidarietà attraverso programmi culturali e iniziative di sostegno pratico e compassionevole; sufficientemente umili per perdonare, essi hanno il coraggio di custodire il sogno che è loro diritto».

Carissimi fratelli e sorelle, chiediamo anche noi al Signore di essere sufficientemente umili per perdonare e così custodire il sogno della pace. La pace incomincia da noi, dal nostro cuore, dai nostri più banali e quotidiani gesti di accoglienza e attenzione all’altro.

Scelte di umiltà che inevitabilmente si associano a scelte di povertà a tutto tondo, una povertà evangelica che fu di Cristo. Anche noi dobbiamo comprendere e accettare sull’esempio di Maria che Dio si era fatto povero per noi, per arricchirci della sua povertà piena d’amore, per esortarci a frenare l’ingordigia insaziabile che suscita lotte e divisioni, per invitarci a moderare la smania di possedere e ad essere così disponibili alla condivisione e all’accoglienza reciproca.

Maria ha compreso, ci dice papa Francesco, perché unita a Gesù, «perché ha avuto di Lui la conoscenza del cuore, la conoscenza della fede, nutrita dall’esperienza materna e dal legame intimo con il suo Figlio. La Vergine Santa è la donna di fede, che ha fatto posto a Dio nel suo cuore, nei suoi progetti; è la credente capace di cogliere nel dono del Figlio l’avvento di quella “pienezza del tempo” (Gal 4,4) nella quale Dio, scegliendo l’umile via dell’esistenza umana, è entrato personalmente nel solco della storia della salvezza. Per questo non si può capire Gesù senza sua Madre. Altrettanto inseparabili sono Cristo e la Chiesa, […]Non è possibile “amare il Cristo, ma non la Chiesa, ascoltare il Cristo, ma non la Chiesa, appartenere al Cristo, ma al di fuori della Chiesa” (Evangelii nuntiandi, n. 16). Infatti è proprio la Chiesa, la grande famiglia di Dio, che ci porta Cristo. La nostra fede non è una dottrina astratta o una filosofia, ma è la relazione vitale e piena con una persona: Gesù Cristo, il Figlio unigenito di Dio fattosi uomo, morto e risorto per salvarci e vivo in mezzo a noi. Dove lo possiamo incontrare? Lo incontriamo nella Chiesa, nella nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica. È la Chiesa che dice oggi: “Ecco l’agnello di Dio”; è la Chiesa che lo annuncia; è nella Chiesa che Gesù continua a compiere i suoi gesti di grazia che sono i Sacramenti. […]Senza la Chiesa, Gesù Cristo finisce per ridursi a un’idea, a una morale, a un sentimento. Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori» (Omelia, 1.I.2015).

A Maria affidiamo ogni uomo e donna, la nostra diocesi, la Chiesa il mondo intero. «Ella, Madre di Dio, è anche Madre della Chiesa e, per mezzo della Chiesa, è Madre di tutti gli uomini e di tutti i popoli» (Ibidem).

A tutti il mio augurio di ogni bene e pace.
+ Carlo, vescovo