Santo Natale 2014

O Re delle Genti,
da loro bramato,
e pietra angolare,
che riunisci tutti in uno:
vieni, e salva l’uomo,
che hai plasmato dal fango.
 

Carissimi,
il cammino di Avvento, l’attesa di un incontro con un Bambino che noi crediamo essere Dio fatto uomo – speranza a cui ci aggrappiamo per non sprofondare definitivamente nell’ombra della morte, nel fango da cui siamo stati tratti, nelle tenebre del nostro nulla – mentre volge al suo termine, si fa supplica al Signore con un “vieni” che si ripete nelle antifone maggiori cantate dalla Chiesa nei giorni vigiliari della grande solennità del Natale.
Nel linguaggio della Chiesa la parola “avvento”, diceva Papa Benedetto nell’Udienza Generale del 3 dicembre 2008, ha due significati: presenza e attesa. “Presenza: la luce è presente, Cristo è il nuovo Adamo, è con noi e in mezzo a noi. Già splende la luce e dobbiamo aprire gli occhi del cuore per vedere la luce e per introdurci nel fiume della luce. Soprattutto essere grati del fatto che Dio stesso è entrato nella storia come nuova fonte di bene. Ma Avvento dice anche attesa. La notte oscura del male è ancora forte. E perciò preghiamo nell’Avvento con l’antico popolo di Dio: «Rorate caeli desuper». E preghiamo con insistenza: vieni Gesù; vieni, da’ forza alla luce e al bene; vieni, dove domina la menzogna, l’ignoranza di Dio, la violenza, l’ingiustizia; vieni, Signore Gesù, da’ forza al bene nel mondo e aiutaci a essere portatori della tua luce, operatori della pace, testimoni della verità”.
Questo venire di Dio a noi ci chiama a vivere, secondo il consiglio dell’Apostolo, “con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo.  Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità. Nessuno ti disprezzi” (Tt 2,12-15).
Il Signore viene a noi per riallacciare la nostra relazione con Dio, per ricondurci al Padre. Quella relazione che in Adamo è stata distrutta.
Il peccato, infatti,  è turbare o distruggere la relazione con Dio, questa la sua essenza: distruggere la relazione con Dio, la relazione fondamentale, mettersi al posto di Dio. E l’uomo da solo non può uscire da questa situazione, non può redimersi da solo; solamente il Creatore può ripristinare le giuste relazioni. Solo se Colui dal quale ci siamo allontanati viene a noi e ci tende la mano con amore, le giuste relazioni possono essere riannodate. Gesù, il Figlio di Dio, si abbassa, diventa il servo, percorre la via dell’amore umiliandosi fino alla morte di croce, per rimettere in ordine le relazioni con Dio. La Croce di Cristo diventa così il nuovo albero della vita. (cfr. Benedetto XVI, Udienza Generale 6.2.2013).
La Scrittura e la Tradizione della Chiesa richiamano continuamente la presenza e l’universalità del peccato nella storia dell’uomo: «Quel che ci viene manifestato dalla rivelazione divina concorda con la stessa esperienza. Infatti, se l’uomo guarda dentro al suo cuore, si scopre anche inclinato al male e immerso in tante miserie che non possono certo derivare dal Creatore che è buono. Spesso, rifiutando di riconoscere Dio quale suo principio, l’uomo ha infranto il debito ordine in rapporto al suo ultimo fine, e al tempo stesso tutto il suo orientamento sia verso se stesso, sia verso gli altri uomini e verso tutte le cose create»(Gaudium et spes, 13). E non potrebbe essere diversamente. Nessun uomo è chiuso in se stesso, nessuno può vivere solo di sé e per sé; noi riceviamo la vita dall’altro e non solo al momento della nascita, ma ogni giorno. L’essere umano è relazione. Il Santo Natale sia occasione per noi di una più vivace intimità con il Signore, con Lui che ci ha donato la fede e ci dà la gioia di essere il Dio con noi, il Dio fatto uomo, realmente presente nell’Eucaristia. Leggiamo dall’Apologia del profeta Davide di Sant’Ambrogio:   “Tu ti sei mostrato a me faccia a faccia, o Cristo: io ti trovo nei tuoi Sacramenti”. (Faciem ad faciem te mihi, Christe, demonstrasti; in tuis te invenio sacramentis).
Andiamo a Lui, Lui che si fa trovare da chi lo cerca; godiamo dell’abbondanza della grazia che scaturisce dai sacramenti; accogliamo il dono della sua misericordia. Papa Francesco, nell’omelia durante la celebrazione Eucaristica a Santa Marta, lo scorso 7 aprile, diceva: ”La misericordia divina è una grande luce di amore e di tenerezza, è la carezza di Dio sulle ferite dei nostri peccati (…) Carezza le nostre ferite di peccato perché Lui è coinvolto nel perdono, è coinvolto nella nostra salvezza”.
Solo nell’incontro con il Signore, solo se sperimenteremo e vivremo il suo perdono, potremo andare ai fratelli e a ogni uomo. Diversamente rimarremo isolati, registi della nostra vita, con la tentazione terribile di essere addirittura registi della vita degli altri.
Ci dice papa Francesco: “Io mi domando, a me, e domando anche a voi: ci lasciamo scrivere la vita, la nostra vita, da Dio o vogliamo scriverla noi? E questo ci parla della docilità: siamo docili alla Parola di Dio? ‘Sì, io voglio essere docile!’. Ma tu hai capacità di ascoltarla, di sentirla? Tu hai capacità di trovare la Parola di Dio nella storia di ogni giorno, o le tue idee sono quelle che ti reggono, e non lasci che la sorpresa del Signore ti parli?”.
Usciamo da questa logica, andiamo a Dio, nostro Creatore e Padre, e lasciamo che la sua luce ci illumini e ci mostri la meta. A Betlemme lo incontreremo tra le braccia della Vergine Madre; nella Chiesa lo incontreremo nell’ascolto della sua Parola, nella celebrazione dei Sacramenti. Così da essere suoi discepoli per imparare a vivere la carità vera. E come potremo non sentire l’urgenza di vivere la carità vera in questo momento in cui il mondo avverte più che mai i sintomi di una malattia antica ereditata da Adamo, ma vinta e guarita da Cristo, il Crocifisso-Risorto?
Già il Beato Paolo VI ebbe a scrivere al n. 66 della Populorum Progressio: “Il mondo è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni, che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli”. Com’è urgente uscire dall’isolamento. Continuava al n. 77 dello stesso documento, il medesimo Pontefice:  “Artefici del loro proprio sviluppo, i popoli ne sono i primi responsabili. Ma non potranno realizzarlo nell’isolamento”. Questa verità – che ci racconta di una sorta di narcisismo che minaccia di far morire definitivamente nella solitudine della propria ricchezza e della propria autosufficienza intere nazioni, si pensi alla vecchia Europa, a questa “nonna infertile”, come l’ha definita papa Francesco – bene si addice anche per ogni uomo, per ciascuno di noi. Attori, sulla scena, dei ruoli più sofisticati di eroi della solidarietà e dell’equità. Sostenitori di iniziative che commuovono, dando ricercata visibilità e suscitando immediato “consenso”, attivissimi, sulle pubbliche piazze, a farsi protagonisti di una sorta di pantomima di tipo carità senza frontiere, ci ritroviamo in un privato artificioso, narcisista e subdolamente sprezzante dell’altro. Forse questa dicotomia è un mistero grande, specialmente ai nostri giorni, che solo la semplicità di un Dio fatto Bambino a Betlemme può non solo svelare, ma soprattutto vincere in una fraternità che ci è data di raccogliere da quell’albero che ha fruttificato nella croce di Cristo donandoci il cibo e la medicina per curare il male antico.
Ma questa constatazione, questa verità che ci è data di patire non ci deve scoraggiare o abbattere. L’amore di Dio è invincibile. “Noi siamo il suo popolo, le sue creature. Per questo egli è germogliato dalla terra e si è affacciato dal cielo: per adempiere ogni giustizia, e avere compassione dell’opera sua. E perché sappiate che giustizia non vuol dire crudeltà ma misericordia, ascoltate ancora: ‘ Il Signore elargirà il suo bene’ (Sal 84,13).
Per questo egli si affaccerà dal cielo: per usare misericordia alle sue creature. ‘E la nostra terra darà il suo frutto’ (Sal 84,13). Qui si parla di quanto avverrà. Non disperare che una volta sola egli è nato da Maria: ogni giorno egli nasce in noi” (San Girolamo – Trattati sui salmi).
Il Signore viene, andiamogli incontro.
                   A tutti il mio augurio di un felice e santo Natale.
+ Carlo, vescovo

24 Dicembre 2014

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