Rimettersi in cammino

Il Dio in cui crediamo è il Dio che ci offre sempre la possibilità di un nuovo inizio.

Riflessione del nostro Vescovo Carlo pubblicata sulla edizione di domenica 7 agosto del nostro settimanale La Traccia

Il Dio in cui crediamo è il Dio che ci offre sempre la possibilità di un nuovo inizio.
Nel 1974 l’allora padre Carlo Maria Martini propose un corso di esercizi spirituali seguendo il Vangelo di Marco (L’itinerario spirituale dei Dodici, Città di Castello 1993, p. 114).
Questa scelta fu voluta come proposta di una lettura catechetica di questo Vangelo che il medesimo padre Martini giustificava con queste parole: «Dobbiamo partire dal fatto probabile che san Marco presenta una catechesi, un manuale per il catecumeno. Il Vangelo di Marco è, cioè, un Vangelo fatto per quei membri delle primitive comunità che
cominciano l’itinerario catecumenale» (Ibidem p. 7).
La proposta di Martini fatta allora a un gruppo di pastori dell’Emilia Romagna di ripartire è un invito necessario e utile anche a noi di recuperare sempre un nuovo inizio.
Un farsi catecumeni, un rimettersi in cammino ogni volta che la stanchezza, la delusione, le prove e le sconfitte della vita ci fanno arrendere adagiandoci là dove ci troviamo e il disimpegno e la rassegnazione la fanno da padroni e ci allontanano dallo stare con il Signore, fino a perdere la percezione di essere suoi e la disponibilità a collaborare con Lui. Il rischio allora che il nostro essere cristiani si stemperi, si confonda e si equivochi fino a diventare progettisti ed
esecutori di scelte di vita tutte nostre in cui Dio non c’entra per nulla diviene realtà.
È allora il momento, e Dio ci conceda di prenderne coscienza, di recuperare lo stupore che Dio ci cerca, non si arrende di fronte alla nostra mediocrità di mente e di cuore, alle nostre fughe da Lui e da quanti ci aveva offerto come compagni di viaggio che ci divengono estranei, quasi presenze pesanti e uggiose. Tutto ora ci urta, là dove
un giorno tutto ci attirava e abitarvi era desiderabile.
Ma è proprio l’inizio del Vangelo di Marco che, se riascoltato con gli «orecchi del cuore» ( espressione cara a san Benedetto), ci sveglia, quasi un sussulto, e ci richiama alla speranza gioiosa che Lui continua a venire a noi, viene a cercarci. È Lui, il nostro Dio, «che prende un’iniziativa misteriosa: “Ecco, io mando il mio angelo davanti a te”
(Mc 1,2)» (Ibidem p. 18).
Dio entra nella nostra «vita con un messaggio sconvolgente, pieno di letizia, e che viene a riordinare le cose […] E noi, pur senza sapere molto di più su Dio, ci troviamo immersi in un’atmosfera di attesa, rispetto, riverenza, tensione per il mistero di Dio che, in Cristo, si sta rivelando» (Ibidem p. 20).
Attesa e ascolto di Lui, disposti e pronti a riceverlo.
E questo è essenziale per quanti nella Chiesa offrono un servizio, sono chiamati a un ministero o addirittura a delle responsabilità pastorali.
Diversamente il rischio è grande: quello non di servire la Chiesa, ma di stare nella Chiesa portando avanti un nostro disegno.
Dobbiamo fuggire la tentazione di realizzare i nostri progetti avendo noi stessi come unico riferimento; frutto di un allontanarci da Dio, abbandonando l’ascolto e la meditazione della sua Parola. È questo un paganesimo di fatto. Dobbiamo invece «operare un rovesciamento della mentalità pagana, per la quale Dio era l’essere a disposizione
dell’uomo, sul quale l’uomo poteva mettere le mani, farselo propizio, chiedendo e ottenendo da Lui ciò che voleva; un Dio di fronte al quale l’uomo era in stato di attività manipolatrice» (Ibidem).
E questo non è a portata di mano dell’uomo, ma è frutto della grazia di Dio.
Da sempre l’uomo ha fuggito Dio per realizzare i suoi disegni, i suoi progetti e in essi perdersi. È il peccato antico. E da sempre Dio cerca l’uomo perduto nel suo nulla: «Dove sei?» (Gen 3,9).
«Dio, al principio, sogna una terra di pace e di benevolenza, in cui il lavoro non è opprimente e la convivenza non è guerra; a tale sogno l’uomo si ribella e lo splendore, l’immenso valore della libertà donatagli da Colui che l’ha creato e amato, si trasforma, nelle sue mani, in strumento di negazione, in un progetto alternativo a quello che gli era stato proposto» (C. M. MARTINI, Ritrovare se stessi, Milano 2021, pp. 86-87).
Questa «estate torbida», per dirla con Carlo Lucarelli, ci infligge giornate che ci costringono a cercare riparo e ad arrenderci, abbandonando ogni impegno. In quest’estate, che ci pare di poter paragonare ai tempi che stiamo vivendo e quasi ci racconta in figura di giorni che sembrano diventati nemici dell’uomo, sentiamo il bisogno di ritrovare noi stessi, di fuggire dai nostri progetti ormai fallimentari, senza appello, senza possibilità di essere difesi o
giustificati tanto è evidente lo stato di bancarotta, crac, ma soprattutto di insolvenza. Abbiamo lasciato debiti, tanti debiti dappertutto.
Perché abbiamo fatto questo? Perché siamo figli di Adamo. «Adamo è l’uomo di tutti i tempi, che non accetta l’amore di Dio, che rifiuta la condizione di creatura e di figlio, che non vuole essere figlio adottivo di Dio, che si ribella a un Dio che lo serve.
La sua paura ha segnato tutta la storia, ha segnato l’umanità che teme Dio immaginandolo come un tremendo punitore, che ha paura della morte, della sofferenza, di ogni forma di privazione e di pericolo.
Rifiutando Dio, noi e la nostra società non andremo lontano e le conquiste del progresso potranno essere addirittura la nostra Babele e la nostra morte» (Ibidem).
Nel dialogare dei nostri progenitori con Dio non c’è resa, non c’è ricerca di una responsabilità personale, un riconoscere con chiarezza ciò che hanno scelto.
Rileggiamo i passi della Genesi che ci raccontano questo dialogo:
«Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?” Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato”. Il Signore Dio disse alla donna: “Che hai fatto?”. Rispose la donna: “Il serpente mi ha
ingannata e io ho mangiato” (3, 9-13)».
Commenta al proposito Martini: «Nelle risposte che Adamo ed Eva danno al Signore noi troviamo che manca, in realtà, l’unica parola adeguata, l’unica parola che stenta a salire dalle labbra di ogni uomo, proprio perché si è perso di vista il vero volto di Dio: “Ho peccato contro di te!”. È la risposta semplice di Davide, nel Salmo 50»
(Ibidem).
«A dispetto delle nostre infedeltà» – si legge al n. 7 del DOCUMENTO PREPARATORIO SINODO 2023, Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione – «lo Spirito continua ad agire nella storia e a mostrare la sua potenza vivificante. Proprio nei solchi scavati dalle sofferenze di ogni genere patite dalla famiglia umana e dal Popolo di
Dio stanno fiorendo nuovi linguaggi della fede e nuovi percorsi in grado non solo di interpretare gli eventi da un punto di vista teologale, ma di trovare nella prova le ragioni per rifondare il cammino della vita cristiana ed ecclesiale».
«In un brano del Vangelo di Luca possiamo leggere un altro dialogo, corrispondente a quello avvenuto nel giardino dell’Eden […] È il racconto dell’Annunciazione […] Maria accoglie la Parola, il disegno di Dio ed è l’aurora della salvezza definitiva […] Contemplando questa nuova Eva ciascuno di noi – nonostante i peccati e le negligenze, le infedeltà, i timori – ritorna a credere nel chiarore delle origini, ritorna a inseguire la gioia e lo splendore di quei giorni in cui
Dio scendeva nella brezza della sera a passeggiare nel giardino.
Ritorna ciascuno di noi, a essere motivo di speranza per il mondo» (C. M. MARTINI, Ritrovare se stessi… pp. 88-90).
È lei la «piena di grazia», «amata da Dio con amore gratuito e redentivo». In lei Dio «si china sull’umanità peccatrice e la riabilita» (Ibidem). Ora la grazia che Eva ci tolse ci è ridonata in Maria (cfr. Prefazio Avvento II/A). È la grazia che risana fino in fondo e a fondo, ricostituendo nell’intimo l’uomo e l’umano.
Affidiamo alla Vergine Maria questo tempo, i nostri progetti, le nostre speranze e attese.
O Fonte di bontà, Avvocata dei peccatori,
Porto dei naufraghi, Vita di tutti,
[…] ascolta e consola la mia preghiera.
S.Efrem il Siro

Carlo, vescovo