Mercoledì delle ceneri

L'omelia del nostro vescovo Carlo

Pubblichiamo nel testo seguente e nel file allegato l’omelia pronunciata oggi – 5 marzo – dal nostro vescovo Carlo nella santa messa presieduta presso la chiesa di Sant’Agostino a Massa Marittima

 

Carissimi fratelli e sorelle,

oggi, mercoledì delle ceneri, iniziamo il nostro cammino quaresimale verso la Pasqua, un cammino di liberazione in cui il Signore, giorno dopo giorno, quasi ci disintossica dal nostro essere schiavi, una schiavitù frutto del nostro limite, del nostro peccato e della nostra fragilità.

Ma chi ci darà la percezione, il sentire la pesantezza soffocante di questa schiavitù? Questa, infatti, è prima di tutto frutto della nostra autoreferenzialità, della nostra autosufficienza che ci rende incapaci di ascoltare, segnati da una cecità che non ci permette di guardare oltre, di guardare lontano. Oggi siamo chiamati, per iniziare bene il nostro cammino, a porci in ascolto: «oggi se udite la Sua voce non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione» (Ebrei 3,7-8); a guardare verso la meta pasquale: «guardate a Lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti» (Salmo 34,6); per gustare quella luce e quella forza che ne scaturiscono, affinché i nostri passi siano lieti, siano agili, passi che dobbiamo sintonizzare con i fratelli e le sorelle accanto a noi.

Il peccato ci fa correre, non altrettanto la virtù. Come corriamo sulla via del peccato! Con quale ardore! Ma quando ritorniamo al Signore, ci convertiamo, il nostro passo si fa stanco, un passo che strascica, un passo debole e incerto. È veramente da meditare la spiegazione che Rabbi Shalom dava ai versetti 1-2 del Salmo 50 (Miserere), anche se può sembrare eccessiva. Egli afferma: un canto di Davide, e subito dopo come era andato da Betsabea. E spiega: con la stessa sincerità e lo stesso ardore con cui era andato da Betsabea, Davide si rivolse a Dio e gli disse il suo canto. Perciò fu subito perdonato. (Cfr L. MONTI, i salmi, preghiera e vita, p. 574).

Seppure eccessiva, questa osservazione ci aiuta e ci esorta in qualche modo a chiedere al Signore la conoscenza del nostro peccato, a farci coscienti della triste condizione di essere peccatori e la bellezza e la gioia che proviamo allorché ci decidiamo a fuggire il peccato, a convertirci sapendo che solo il Signore può darci la forza e il coraggio necessari per partire, per guarire. Come un uomo affetto da una piaga va dal medico e sente quanto diagnostica: tu non potrai essere curato qui; la tua piaga è grande, i soldi che hai in tasca sono pochi. In un tale caso, possiamo fare? Cosa possiamo dire se non supplicarlo: ti prego, prendi tutto il denaro che ho, e quello che manca metticelo tu. Abbi misericordia, abbi pietà e misericordia di me (Cfr ibidem, p. 573).

Bene diceva il Savonarola nel suo commento al salmo Miserere: «L’abisso chiama l’abisso : l’abisso della miseria invoca l’abisso della misericordia ; l’abisso dei peccati invoca l’abisso delle grazie. È più grande l’abisso della grazia che l’abisso della miseria. Dunque l’abisso assorba l’abisso. L’abisso della grazia assorba l’abisso della miseria».

Carissimi, non facciamo passare invano queste opportunità che il cammino quaresimale ci offre: «Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 6,2).

Accogliamo questo appello e viviamo questo tempo, il tempo forte della Quaresima, che è un’occasione per renderci sempre più consapevoli del nostro essere chiamati da Dio. Fuggiamo la banalizzazione della vita, o la degenerazione di quelle feste che cadenzano, come sbiadite ricorrenze, il passare dei giorni; equivocate, quasi sfregiate da un consumismo che priva l’uomo di cibi solidi, nutrienti, di una luce che lo aiuta a guardarsi e a guardare.

Il tempo di Quaresima ci offre un continuo esercizio, un impegno, un’eccellente opportunità di recuperare la verità del nostro essere al mondo, del nostro impegno come cristiani.

La liturgia è esperienza meravigliosa dell’agire di Dio nella storia.

E anche se il «rendere presente» nella liturgia non elimina il divario storico, rende però i partecipanti presenti al Dio che salva. Ecco quanto si recita nell’haggadà della Pasqua ebraica: «Non ha liberato solo i nostri padri. Anche noi hai liberato insieme a loro, come è detto: e fece uscire noi di là per far sì di darci la terra che aveva promesso ai nostri padri» (cf. Dt 6,23).

Incamminiamoci verso la nostra liberazione piena, verso la Gerusalemme del cielo insieme a Colui che manda a noi il suo Santo spirito:

«O Dio Trinità, Nome ineffabile fa di misericordia inesauribile,
tu che purifichi dai suoi vizi l’abisso del cuore umano
e lo rendi più bianco della neve,
rinnova, ti preghiamo, nei nostri cuori
il tuo spirito Santo
grazie al quale possiamo annunziare la tua lode.
Così, fortificati mediante uno spirito retto e sovrano,
potremmo essere riuniti nelle dimore eterne
della Gerusalemme celeste»

(Orazione salmica di tradizione romana, in Oraisons, p. 122 ; cit. in L. MONTI, op. cit. p. 592).

+Carlo, vescovo

 

5 Marzo 2025

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